
Ecco come 2.600 talenti immaginano il nostro futuro: il meglio della Dutch Design Week

Interessanti le sperimentazioni sul tema della riappropriazione di spazi fisici in un mondo che vive il paradosso di essere iperconnesso dai social ma in modo virtuale. Come Chairwave dello Studio Vouw, intrigante sistema di sedie a scomparsa posizionate in spazi pubblici, che si abbassano e si illuminano in modo da stimolare l’interazione reale tra estranei. Ma anche come la divertente The Office Jungle di Ingmar Nieuweboer, struttura geodetica che cerca di trasformare la monotonia dell’ufficio in un momento giocoso, sensoriale e soprattutto sociale.

Come trasformare i big data che dominano le nostre vite in materiali? Sfida affascinante alla quale ha cercato di rispondere per esempio il progetto Suslib, di Amir Houieh e Martijn de Heer, esplorazione di come lo spazio fisico di una biblioteca può incoraggiare la condivisione di conoscenza virtuale. Ma anche Sound of a Smart Home, progetto di bachelor della giovanissima Eva van der Born: un oggetto in grado di “raccogliere” tutti i big data degli oggetti di una smart home che dialogano tra loro, trasformandoli in suoni sempre differenti.

Il potere della collaborazione tra culture e discipline differenti è stato invece esplorato tra gli altri da Collaboration O, collettiva di 12 tra artisti e designer, ma anche da Isola Design District, costola del Fuorisalone nata per promuovere nuovi volti del distretto milanese: a Eindhoven ha portato una mostra coi lavori di 35 designer.

Sul versante dell’inclusive design, molto interessante il progetto See-eat-through, set da tavola disegnato da Aurore Brard (designer già presente alla rassegna milanese dell’anno scorso) per chi ha enormi problemi di vista: il bicchiere, per esempio, rende visibile il livello dell’acqua versata grazie al contrasto creato dal colore del calice, mentre le impugnature delle posate ricalcano le diverse forme di cucchiai, forchette e coltelli.

La colossale ex fabbrica di prodotti caseari Campina ha invece ospitato le opere di bachelor e master della Design Academy Eindhoven, nata nel lontano 1955, celebre per il suo approccio non convenzionale e interdisciplinare. Tra gli oltre 180 lavori esposti meritano un cenno il The Mechaphony della newyorchese Colette Aliman, opera di design contestuale che esplora il rapporto tra l’uomo e il suono, ma anche il social design di Microbial Self, ingegnosa serie di maschere ideate dall’austriaca Valerie Daude per misurare la quantità di microrganismi presenti nel nostro corpo illuminandosi di conseguenza.
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